Responsabilità penale e obblighi di sindaci, revisori e amministratori di società

Di: Maria Bruccoleri - il: 26-04-2017

Relazione del workshop tenuto per Roland Italia sulla responsabilità penali di sindaci, revisori e amministratori nello svolgimento delle proprie attività.

Sia l’amministratore di società che il sindaco, sono destinatari diretti dell’art. 2621 c.c., il quale recita “Salvo quanto previsto dall’articolo2622, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, i quali, con l’intenzione di ingannare i soci o il pubblico e al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali previste dalla legge, dirette ai soci o al pubblico, espongono fatti materiali non rispondenti al vero ancorché oggetto di valutazioni ovvero omettono informazioni la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene, in modo idoneo ad indurre in errore i destinatari sulla predetta situazione, sono puniti con l’arresto fino a due anni.
La punibilità è estesa anche al caso in cui le informazioni riguardino beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi.
La punibilità è esclusa se le falsità o le omissioni non alterano in modo sensibile la rappresentazione della situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene. La punibilità è comunque esclusa se le falsità o le omissioni determinano una variazione del risultato economico di esercizio, al lordo delle imposte, non superiore al 5 per cento o una variazione del patrimonio netto non superiore all’1 per cento.
In ogni caso il fatto non è punibile se conseguenza di valutazioni estimative che, singolarmente considerate, differiscono in misura non superiore al 10 per cento da quella corretta.
Nei casi previsti dai commi terzo e quarto, ai soggetti di cui al primo comma,sono irrogate la sanzione amministrativa da dieci a cento quote e l’interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese da sei mesi a tre anni, dall’esercizio dell’ufficio di amministratore, sindaco, liquidatore, direttore generale e dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari, nonché da ogni altro ufficio con potere di rappresentanza della persona giuridica o dell’impresa”.
Sono altresì applicabili le disposizioni civili, che integrano quelle penali, relative agli obblighi di chiarezza, precisione, completezza e verità, (come previsto dagli artt. 2491 e 2423 – 2431 cc), che devono essere osservati, scrupolosamente, nella redazione del bilancio e delle altre comunicazioni sociali.

Nella specie, il sindaco non dovrà essere ritenuto un “extraneus”rispetto al rapporto societario e pertanto risponderà del reato da lui commesso eventualmente in concorso con gli amministratori, non solo per effetto dell’art. 40 cpv. c.p., maanche per fatto proprio e non solo per fatti omissivi(sub specie di violazione dei doveri di vigilanza), ma anche per fatti commissivi(nel caso di approvazionedi relazionifalse) se è consapevole della loronon corrispondenza al vero.

Giurisprudenza costante si esprime in tal senso, sottolineando l’esigenza dei poteri di controllo in capo ai sindaci, revisori e amministratori di società. Già con lapronuncia n. 17393del 13 dicembre 2006, la Corte di Cassazione ha avuto modo di sostenere che,in tema responsabilità per bancarotta documentale, l’obbligo di vigilanza dei sindaci del collegio sindacale non è limitato al mero controllo contabile, ma deve anche estendersi al contenuto della gestione, considerato che la previsione di cui all’art. 2403 c.c., comma 1, prima parte(correlata con i commi terzo e quarto della stessa norma), conferisce ai sindaci il potere-dovere di chiedere agli amministratori notizie sull’andamento delle operazioni.

Uno dei principali problemi attiene alla necessità diindividuare quali sono i presupposti su cui si fonda la responsabilità penale in capo ai sindaci e al collegio sindacale e/o ai revisori contabili.

Importa, quindi, individuare quali sono le condotte penalmente rilevanti ascrivibili a tali soggetti.

Tale analisi va certamente condotta alla luce della considerazione che ogni procedimento penale ha una propria fisionomia, rappresentata da fatti e condotte specifiche, che non sono, in alcun modo, sovrapponibili.

Nessun problema si pone quando appare evidente la collusione dell’organo di controllo con quello dell’amministrazione e vi è la prova della conoscenza delle condotte illecite e/o, conseguentemente, dell’omissione di un comportamento doveroso, volto ad impedire l’evento e quindi, quando vi è prova del dolo dell’agente sotto il profilo della consapevolezza e volontà di commettere il reato.

Talvolta la circostanza diventa invecepiù complessa,quando si tratta di individuare il dolo eventuale in capo all’organo di controllo e, cioè, quell’atteggiamento del soggetto che non persegue consapevolmente la realizzazione del fatto illecito, ma si rappresenta come possibile l’esistenza di presupposti della condotta manifestamente illecita, ovvero il verificarsi delle conseguenze dell’azione o omissione, e accetta il rischio che il fatto possa verificarsi.

Con riguardo, invece, alla responsabilità del revisore, l’art. 15 D.lgs. n. 39 del 2010, sostiene che i revisori legali e le società di revisione rispondono in solido tra loro e con gli amministratori nei confronti della società che ha conferito l’incarico di revisione legale, dei suoi soci e dei terzi, per i danni derivanti dall’inadempimento ai loro doveri. Nei rapporti interni tra i debitori solidali, essi sono invece responsabili nei limiti del contributo effettivo al danno cagionato.

Non si può non notare che questa disposizione è contestabile, in quanto i compiti e le funzioni di amministratori e revisori sono molto diversi e il fatto di equipararne la responsabilità significa equiparare, in generale,la condotta di chi effettua delle malpractice contabili con chi le controlla.

Questa situazione porta all’instaurarsi di contenziosi, che coinvolgono il professionista che si occupa di controllo come “persona informata sui fatti”nella stessa misura degli amministratori, quando questi ultimi, nel loro agire illecito, potrebbero aver messo in atto comportamenti fraudolenti con tecniche particolarmente complesse e di difficile evidenza, delle quali nel revisore potrebbe non esserci consapevolezza.

Tutto ciò premesso, le sanzioni nel merito sono previste dal d.lgs. n. 39 del 27 gennaio 2010.

Il Capo VIII del d.lgs. n. 39/2010, oltre a sanzioni di natura amministrativa, prevede anche specifiche fattispecie di reato penale, con l’accorpamento e la riformulazione di figure criminose, già presenti nel codice civile e nel TUIF

Le principali fattispecie penali considerate per i revisori sono le seguenti:

  • Falsità nelle relazioni o nelle comunicazioni dei responsabili della revisione legale (art. 27).

  • Corruzione dei revisori (art. 28).

  • Impedito controllo (art. 29).

  • Compensi illegali (art. 30).

  • Illeciti rapporti patrimoniali con la società assoggettata a revisione (art. 31).

Un aspetto altrettanto significativo attiene alla responsabilità contrattuale dei revisori.

Tale responsabilità discende direttamente dal contratto stipulato tra revisore e cliente, che in seno alla propria assemblea ha conferito l’incarico.

La responsabilità civile del revisore emerge da un suo comportamento doloso o colposo (negligenza professionale) e da inadempienze o errori di una gravità tale da esercitare un significativo riflesso sul giudizio di revisione espresso e, conseguentemente, arrecare ad altri un danno.

La responsabilità del revisore in sede civile è pertanto sanzionata con la condanna al risarcimento del danno prodotto, come precisato dall’art. 2407 c.c.

Nei contratti di revisione presentati, spesso si includono clausole relative a limiti alla responsabilità contrattuale. Tali limiti sono determinati in base a multipli dell’importo degli onorari pattuiti. Tuttavia non vi è alcuna disposizione normativa che giuridicamente li preveda.

La loro mancanza nelle richieste di risarcimento di danni, ha portato, spesso, a richieste di risarcimento irrealistiche, effettuate dalle società clienti nei confronti delle società di revisione, con rilevanti danni di immagine per queste ultime, oltre a grandi difficoltà nell’assicurare i propri rischi contrattuali, come ogni prudente attività professionale deve prevedere di fare.

Non si possono inoltre dimenticare alcune norme del codice, che si applicano a tutti i soggetti coinvolti in gestione e controllo delle imprese, e che sono fonte di ulteriore responsabilità .

Esse vengono di seguito individuate :

FALSITÀ

• Art. 2621 – False comunicazioni sociali

• Art. 2622 – False comunicazioni sociali a danno dei soci o creditori

ILLECITI COMPIUTI CON OMISSIONE

• Art. 2630 – Omessa esecuzione di denunce, comunicazioni, depositi di atti

• Art. 2631 – Omessa convocazione dell’assemblea

• Art. 2635 – Infedeltà a seguito di dazione o promessa di utilità

• Art. 2636 – Illecita influenza sull’assemblea

• Art. 2637 – Aggiotaggio

• Art. 2638 – Ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza

La responsabilità penale del sindaco, del revisore legale e degli amministratori, in situazioni di crisi di impresa.

La crisi dell’impresa e, quindi, l’eventuale fallimento o il concordato preventivo, impongono una dettagliata analisi delle cause dell’insolvenza o dello stato di crisi e, conseguentemente, una possibile rivisitazione, da parte del Giudice penale, delle condotte tenute da amministratori, sindaci e revisori.

Il mondo dei controlli delle società è stato definito come “reticolo di controllo”piuttosto che sistema di controllo, stante la possibile sovrapposizione di competenze trai vari organi. Questo implica che il Giudice penale ha il gravoso compito di individuare e isolare i contributi realmente rilevanti, rispetto agli illeciti ritenuti sussistenti e imputabili ai singoli soggetti per il ruolo e la funzione rivestita.

Affinché si giunga all’affermazione di responsabilità degli organi di controllo, occorrerà che il Giudice penale, individuata la posizione di garanzia rivestita e, quindi, i doveri che sono imposti dalla normativa che regolamenta il loro operato, accerti la mancata attivazione dei poteri impeditivi, nonchéla sussistenza di un nesso causale tra la mancata attivazione dei poteri impeditivi e il fatto di reato. Trattandosi di reati sanzionati esclusivamente in presenza di dolo in capo all’agente, occorrerà anche la rappresentazione e volizione delle condotte costituenti reato, almeno sotto il profilo del dolo eventuale.

Per essere considerata penalmente rilevante, la condotta posta in essere dal revisore legale e dal sindaco deve essere individuata dall’accusa e deve rivestire taluni requisiti:

1) non avere espresso un giudizio negativo, evidenziando le falsità contenute nella relazione al bilancio dei revisori. Tale giudizio negativo manifestato avrebbe comportato l’attivazione, da parte del collegio sindacale, dei poteri impeditivi di cui all’art. 2406, comma 2, cc.;

2) non avere attivato i controlli e i relativi provvedimenti da parte dell’Organo di Vigilanza, con espressa segnalazione dei fatti censurabili a detto organo di vigilanza;

3) avere tenuto una condotta omissiva penalmente rilevante, ai sensi dell’art. 40, comma 2, c.p., avere agito in concorso del reato, ai sensi dell’art. 110 c.p. con gli amministratori.

La riforma societaria del 2003 ha rafforzato il principio dell’obbligo degli amministratori operativi, di far conoscere, senza reticenze od omissioni, le operazioni eseguite all’intero Consiglio di amministrazione e, quindi, al Collegio sindacale, che partecipa alla seduta del C.d.A.

Di conseguenza, l’obbligo di informazione non costituisce di per sé, in caso di omissione, una esimente che escluda ogni responsabilità degli organi di controllo. L’unico caso in cui non può sussistere la responsabilità del Collegio Sindacale e dei revisori,è quello in cui l’omissione informativa non poteva essere percepita, per le modalità con cui è stata posta in essere l’operazione censurabile, pur operando detti organi con scrupolo e diligenza.

In buona sintesi, quel che il Giudice penale deve accertare, è che l’organo di controllo era in condizione di essere consapevole dell’esistenza di sintomi, che consentissero di comprendere il senso reale dell’operazione costituente reato.

Per avere una indicazione concreta di quali, in astratto, possano essere i segnali perspicui, che debbono mettere in allarme gli organi di controllo, si può certamente fare riferimento a quei segnali potenzialmente indicativi di problemi di continuità aziendale.

Ovviamente tali segnali andranno valutati in relazione alle concrete situazioni in cui si siano espressi. Tali fattori possono manifestarsi a seguito dell’esame analitico del bilancio, dall’analisi della gestione della società, da altri fatti esterni e differenti rispetto a dette analisi.

Gli indizi di possibile crisi devono essere valutati in concreto e rapportati alla complessiva situazione patrimoniale, gestionale e finanziaria della società.

In particolare, tali indizi andranno esaminati anche alla luce di possibili circostanze contingenti, che abbiano causato l’insorgere di uno degli eventi in esame, ma non costituiscano ancora effettiva manifestazione di crisi della società.

Sarà opportuno, pertanto, richiedere agli amministratori tutte quelle informazioni utili e necessarie per la corretta valutazione, lasciando traccia documentale di tale attività e traccia documentale delle decisioni e delle ragioni dei provvedimenti assunti dagli organi di controllo.

Per chiarezza occorre sottolineare che la Suprema Corte ha ben individuato i passaggi, attraverso cui si può giungere all’affermazione di una responsabilità per dolo eventuale degli organi di controllo, rintracciandoli sostanzialmente nella prova della presenza di chiari e specifici segnali d’allarmee nella dimostrazione che quei segnali indicavano, in maniera inequivocabile, che lo specifico evento criminoso, poi verificatosi, era in corso di realizzazione.

Eancora,va concretamente effettuata la verifica se il soggetto avesse effettivamente percepito e valutato i predetti segnali e avrebbe quindi, con la diligenza richiesta, potuto percepirli come rappresentativi degli illeciti in itinere.

Trattandosi di responsabilità penale, lo sguardo deve essere rivolto anche agli amministratori di società, i quali rispondono anche in sede penale delle loro azioni o omissioni.

La responsabilità penale è sempre dell’amministratore e mai della società, la qualepuò tuttavia incorrere in responsabilità amministrativa, per alcuni specifici reati, commessi nel suo interesse o a suo vantaggio, da persone che ricoprono determinate funzioni di rappresentanza, di amministrazione o direzione.

In applicazione del principio di residualità della responsabilità penale, intesa come extrema ratio dell’intervento repressivo statale, potrebbe risultare quasi più vantaggioso, e certamente maggiormente proficuo, perseguire la tutela dei beni giuridici tipici del mercato economico, con l’applicazione coordinata della disciplina della responsabilità civile degli amministratori e quella di cui al d. lgs. 231/2001.

Attraverso l’applicazione di tale ultimo apparato sanzionatorio, dotato di autonomi e peculiari criteri d’imputazione del reato (vedi artt. 5 e 6 d. lgs. 231/2001), si giungerebbe infatti ad un giudizio di responsabilità coerente con i principi di colpevolezza degli agenti.

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